De Eucharistia

DE EUCHARISTIA
 
CANTI EUCARISTICI D'OCCIDENTE E D'ORIENTE

 

DE EUCHARISTIA


CANTI EUCARISTICI D'OCCIDENTE E D'ORIENTE


I PICCOLI  ROMEI DI SAN MICHELE ARCANGELO

diretti da

FABRIZIO MASTROIANNI

 Soliste: Anna Bianchini - Ariel Bigatti
Federica Rossi - Lucia Rossi - Sara Fantini

© Associazione San Michele Arcangelo 2009
Registrazione effettuata in studio da Alessandro Mazzoni
per “A.J.D.A. lab” - Terni
Edizione non commerciale allegata all'opera De Eucharistia
di Cristina di Gesù Cricifisso

Canti per l'Eucaristia, in un CD allegato all'opera De Eucharistia
 Inni sacri di Cristina di Gesù Crocifisso


 Brani da ascoltare 

01. Exultet mentis iubilo Hymnus Thomae Aq. - 01’.58”
14. Qui manducat Communio - 00’.45”
15. O sacrum convivium Antiphona - 01’.32”
23. Te laudamus Transitorium ambrosianum - 01’.40”
26. Tou deipnou sou tou mystikou 02’.57”
27. Te Deum Hymnus (tonus sollemnis) - 01’.16”



Dal volume di inni sacri De Eucharistia 
di Cristina di Gesù Crocifisso

REQUIES MEA IN VERITATE
Essenza della Regola carmelitana

Lasciàti a valle i pesi,
leggera l’anima ascende i gradi di perfezione,
agognando il riposo, la felicità dell’unione.

.......

«Amato! Come pioggia benefica tu scendi in me:
il Giardino fiorisce anche d’inverno!
Tu cadi in me, mi dai bianchezza d’agnello»

.....

Tra bianchi lini l’anima riposa,
nella luce increata Dio si svela,
la porta del Mistero si apre dall’interno.

Ciò che è donato torna,
la colomba reca il ramo nel becco,
l’anima sorride, pacificata. Amen



DE EUCHARISTIA


CANTI EUCARISTICI D'OCCIDENTE E D'ORIENTE

01. Exultet mentis iubilo Hymnus Thomae Aq.                        01’.58”
02. Calicem salutaris Antiphona                                             00’.17”
03. Pange Lingua gloriosi corporis  Hymnus                   02’.43”
04. Caenantibus autem Antiphona      00’.24”
05. O salutaris Hostia  Hymnus Thomae Aq. (?) 00’.55”
06. Ubi caritas  Antiphona        02’.15”
07. Hoc corpus Communio                                                01’.07”
08. Cibavit eos Introitus       02’.06”
09. Oculi omnium  Graduale  02’.38”
10. Alleluia. Caro mea vere est cibus Alleluia                    02’.21”
11. Lauda Sion Salvatorem Sequentia Thomae Aq.   04’.50”
12. Portas caeli Offertorium     01’.29”
13. Sanctus cum tropha Divinum mysterium                 04’.18”
14. Qui manducat Communio         00’.45”
15. O sacrum convivium Antiphona    01’.32”
16. Sacris solemniis Hymnus           03’.51”
17. Fructum salutiferum Antiphona         00’.26”
18. Adoro te devote Hymnus Thomae Aq. (?)     03’.10”
19. A fructu frumenti Antiphona              00’.24”
20. Communione calicis Antiphona   00’.29”
21. Ave verum Antiphona    01’.20”
22. Caene tuae mirabili Antiphona ambrosiana             01’.24”
23. Te laudamus Transitorium ambrosianum                     01’.40”
24.  Trisagion  00’.30”
25.  Heis hagios 00’.33”
26. Tou deipnou sou tou mystikou     02’.57”
27. Te Deum Hymnus (tonus sollemnis)    01’.16”


Divinum Mysterium

Il concilio ecumenico Vaticano II nel dicembre 1963 ha affermato con tutta la forza della sua autorità che l’Eucaristia è “la fonte e il culmine della vita cristiana” (costituzione liturgica Sacrosanctum Concilium). L’Eucaristia è il punto nevralgico dove s’incrociano gli innumerevoli – sono tanti quanti sono coloro che revera Deum quaerunt – itinerari che conducono il credente a incontrare Cristo, vero Dio e vero uomo. Le conclusioni cui sono arrivati i padri conciliari, sono il frutto non tanto di una prolungata riflessione teologica, quanto l’esito di un’esperienza mistica che segna una tappa fondamentale della vocazione battesimale vissuta per due millenni nella Chiesa.

            Eucaristia: presenza sacramentale di Cristo che coinvolge nella sua missione salvifica l’uomo decaduto, il peccatore redento, l’accattone che trova nuova dignità del regno dei cieli. Basta scorrere le due genealogie di Cristo, nei Vangeli di san Matteo e di san Luca, per rimanere stupefatti di fronte al Verbo di Dio: non nasce all’interno di una stirpe di santi; s’incarna – con nostra grande sorpresa – in una famiglia allargata che è lacerata dal dubbio, macchiata di orribili misfatti, famiglia che ora accoglie la parola profetica, ora la rifiuta sprezzante. Stirpe umana che trova occasioni di fedeltà a Dio quando scopre e riconosce la sua povertà e, nell’umiltà vera, riesce a purificare lo sguardo del cuore. Allora, lentamente, riesce a mettere a fuoco l’essenziale ed è in grado di vedere Dio. Vedere Dio al di là delle visioni della fantasia nel contemplare la luce taborica, arrivare quindi a conoscere Dio nell’Eucaristia ed essere pertanto in grado di riconoscerlo negli ultimi e negli sconosciuti che ci sfiorano, nei tanti volti resi anonimi dal contatto quotidiano...

            Nella grande famiglia dell’umanità c’è un gruppo di privilegiati. Non sono i potenti o i ricchi di turno, bensì quanti sono stati colti nel fiorire dell’infanzia e della giovinezza: i bimbi martiri e confessori della fede. Quanti, rigenerati dalle acque battesimali, sono stati trascinati dal vortice dello Spirito sul carro d’Elia e ci hanno lasciati per sempre facendoci sprofondare nello sgomento. La morte degli Innocenti scardina tutte le logiche umane. Non ci sono parole di consolazione. C’è solo il silenzio del vuoto che si riscatta nell’adorazione. Il silenzio da cui sale un fremito, un balbettio, un vociare confuso, un canto. È il canto trionfale che accompagna l’Agnello nel corteo che attraversa i tempi e gli spazi della storia. Nella corsa gloriosa della Parola gli ultimi sono i primi. La visione dell’Apocalisse prende consistenza di realtà. Cristo è il nuovo cantico. Quanti non sono in grado di parlare, cantano con il cuore...

*          *          *

            Da sempre all’interno della liturgia un posto privilegiato è occupato da giovani cantori, le voci bianche che la Chiesa eleva a messaggeri per annunciare e condividere la propria fede. Il suono argentino e squillante del timbro infantile permette di accedere a una dimensione della comunicazione interpersonale dove la molla primaria che fa scattare l’impegno vocale è la gratuità: nell’offrire a Dio se stessi in sacrificio di lode non ancora contaminati dai giochetti di una vana furbizia umana che corrode e sfigura spesso le realtà più sacre. Le voci bianche fanno eco agli agni parvuli che inneggiano intorno al trono dell’Agnello immacolato, dal quale trono scendono rivoli di grazia che trasformano la terra nel giardino di Dio, nel luogo dell’ospitalità universale dove Cristo stesso invita al banchetto della vita.

Ex ore infantium et lactentium perfecisti laudem (Ps 8,3) constatava già il salmista, probabilmente sorpreso dal fatto che persone meno istruite di lui, certo non professionisti, fossero in grado di realizzare una tale lode di Dio. Ed è con l’animo del re Davide che anche oggi nella Chiesa occorre mettersi in ascolto delle voci puerili per riuscire a percepire le risonanze spirituali, quelle vibrazioni di purezza, che nonostante gli sforzi tecnici e i talenti artistici i cori di adulti non riescono più ad esprimere.

Il programma di canti inseriti nel CD allegato a questo volume, non vuole far conoscere un nuovo coro di ragazzini. L’intento di quanti hanno collaborato all’edizione, è di aiutare a ricuperare un’importante mappa che aiuti nella ricerca del volto di Dio. In questa sede non sarà possibile trarre dal piccolo repertorio di canti eucaristici “gregoriani” tutte le ricchezze spirituali e dottrinali che esso racchiude tra le pieghe delle diverse melodie. Sia sufficiente anche solo iniziare un cammino che, sotto la guida dei brani vocali, ci accosta al mistero eucaristico. Convinti che, come diceva un’antica iscrizione sopra il lavabo di una sacrestia, ogni Messa che abbiamo la grazia di poter celebrare, è vissuta sempre come la prima, l’ultima, l’unica.

*          *          *

Divinum mysterium semper declaratur: inizia con questa affermazione una meditazione orante sull’acclamazione liturgica delSanctus assai diffusa nell’Europa medioevale. La melodia si ripete più volte e riprende così una struttura arcaica, quella della cantillazione, la proclamazione in canto della Parola. Il testo risente della riflessione teologica del Dottore Angelico ed accompagna in molte fonti manoscritte la liturgia del Corpus Domini. Segno di contraddizione, l’Eucaristia acceca la mente di chi non crede ma, al contrario, rafforza la fede del credente. Il pane e il vino dopo la consacrazione si rivelano essere il Corpo e il Sangue del Signore, danno che opprime gli uni, giovamento (incrementum) per gli altri.Mors est malis, vita bonis, fa eco la sequenza del Corpus Domini. Poche parole. Sollecitano un ridestarsi dal torpore dell’abitudine e prendere rinnovata coscienza del mistero. Mistero perché è un fatto assolutamente inaccessibile da parte della creatura, se il Mistero stesso non si rivelasse, non si aprisse e non accogliesse in sé stesso colui che se ne ciba lasciandosi trasformare dallo Spirito. C’è da rimanere sconcertati, se l’inflazione di tante Messe non producesse talora “assuefazione”, lasciando che l’Eucaristia diventi una “cosa” tra le tante che ci troviamo tra i piedi, forse con il fastidio di correre per sentirci a posto con l’osservanza del precetto domenicale...

Mistero ineffabile. Esige un cambiamento di rotta, di abitudini mentali. Non siamo i protagonisti che dettano l’itinerario da compiere e stabiliscono con accurata perizia le tappe del viaggio. Siamo profughi, extra-comunitari nel vero senso del vocabolo, peregrinanti lontani dalla patria. Cerchiamo rifugio, asilo, conforto, una nuova possibilità per ricuperare il senso della vita. Che cosa sta succedendo? Desideriamo almeno una capanna di frasche e ci è offerta una reggia. Stendiamo la mano con tremore per ricuperare un tozzo di pane e ci troviamo ricolmi di vita divina. Dischiudiamo le labbra riarse in attesa di un filo d’acqua per superare questo momento infernale e, a stento, riusciamo a tenere in mano la coppa del vino inebriante donata per l’eternità...

Mistero ineffabile, quindi, che tacita il tumulto interiore. Fino a quando le acque profonde dell’essere si acquietano e sale dal pozzo del cuore il canto senza parole. Caro mea vere est cibus, et sanguis meus vere est potus. Qui manducat meam carnem, et bibit meum sanguinem, in me manet, et ego in eo. Le parole dell’evangelista san Giovanni (Io 6, 56-57) illuminano l’intelligenza, aiutano a comprendere, ma lasciano in ogni  caso senza parole. Senza parole perché, prima, viene meno il nostro ragionare, meditare. Si percepisce la presenza di Qualcuno i cui contorni superano ogni idea e immaginazione. Colui che il cosmo intero non è in grado di accogliere, si è abbreviato nel nostro cuore. Silenzio. La frase dell’apostolo prediletto si muove dentro di noi, ma quando sale alla superficie della vita ed esce dalla bocca non è più espressa con parole. È la melodia senza parole dell’Alleluia. Pura contemplazione. Senza il vincolo delle parole apre l’esperienza spirituale a una dimensione più vasta e più profonda. Contemplata aliis tradere: senza ragionamenti tortuosi, senza parole che degenerano in chiacchiere vuote. La voce trasparente dei pueri cantores ci trascina al di là della nostra immaginazione. Nel mistero vissuto.

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Una dimensione che il canto liturgico permette di ricuperare è quella storica. Nel senso di storia della salvezza, dove l’anelito del cuore raggiunge la sua soddisfazione ultima, dove il peregrinare umano trova un compimento, dove nel presente si saldano passato e futuro. Ci fa da guida il canto iniziale della Messa nella celebrazione del Corpo e Sangue di Cristo. Il testo salmico, a prima vista, sembra la traccia di una cronaca di viaggio: Cibavit eos ex adipe frumenti, alleluia, et de petra melle saturavit eos, alleluia, alleluia, alleluia (Ps 80). È chiaro il riferimento alle peripezie dei nostri padri nella fede, erranti, stanchi e delusi, per alcuni decenni nel deserto. Eppure nell’aridità e nell’isolamento estremi non sono stati dimenticati. Cibo e acqua hanno ridato forze, hanno soprattutto infuso nuova speranza. Alleluia: non si può non rendere grazie all’Altissimo, lodare il suo santo nome. Grazie, Signore, grazie, grazie, grazie.

In quanti deserti, dopo quell’episodio biblico, l’umanità si è trovata smarrita! Quante volte, nel nostro microscopico mondo personale, abbiamo avvertito la totale impotenza, il fallimento disastroso, la mancanza di vie d’uscita... Eppure in ogni generazione, davanti al cammino di ogni persona, s’alza un Mosè con il vessillo che indica la via della liberazione. Un Mosè che siamo forse tentati di rifiutare perché balbetta, perché ha idee che non collimano con le nostre, perché è l’ultimo arrivato e pretende di avere in mano la soluzione. E se così fosse? La sapiente esperienza di san Benedetto, a proposito, ricorda che il Signore indica talora la soluzione di problemi irrisolti all’ultimo arrivato. Che sarà forse anche uno sprovveduto, ma che certamente non è condizionato da tante pesanti abitudini. Ma non c’è solo Mosè tra i nostri soccorritori o l’ultimo arrivato. C’è anche il Samaritano, lo straniero che noi emarginiamo e allontaniamo dalle nostre case, mentre lui ci accoglie nel suo cuore.

Mosé, l’ultimo arrivato, lo straniero: alcune modalità di farsi presente. Chi? Colui che ha detto: “Io ti ho liberato dalla terra d’Egitto”, “Io sono il pane della vita”, “Apri la tua bocca affinché ti possa saziare”. La gola pronuncia Cibavit eos..., il cuore canta Cibavit me... Ci si rende conto a chi sono rivolte certe parole fissate da Paolo (1 Cor 11) e riprese dall’antifona di comunione Hoc corpus quod pro vobis tradetur, hic calix novi testamenti est in meo sanguine, dicit Dominus: Hoc facite, quotiescumque sumitis, in meam commemorationemPro vobis? Sì, a condizione che le parole di Gesù benedetto non siano recepite in modo anonimo, quasi fossero rivolte a una massa, bensì risuonino con dolcezza: Pro te. Si aprono nuovi orizzonti di speranza e d’impegno fattivo: Fac in meam commemorationem. E non ogni tanto, quando sono ben disposto, ma quotiescumque...

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            Ogni giovedì santo a Milano, dopo la proclamazione del Vangelo, si canta l’antifona Caenae tuae mirabili. È un canto suggestivo che unisce ancora oggi l’Occidente europeo all’Oriente cristiano. La recensione melodica ambrosiana sembra essere quella più fedele all’originale siriaco composto verso il V secolo o prima. È bello cantare nella liturgia. Ma, come canta il salmo, è ancora più bello che i fratelli siano in piena comunione: Ecce quam bonum et quam iucundum habitare fratres in unum (Ps 132,1). Essere fratelli, senza distinguo e ma, perché figli tutti, nessuno escluso, dell’unico Padre. Perché tutti a Cristo, con la voce sommessa del ladro, imploriamo Memento mei in regno tuo. Perché a tutti Cristo estende l’invito a sedere convitati al banchetto dell’Agnello: Caenae tuae mirabili hodie, Filius Dei, socium me accipis.L’Eucaristia non è un evento folclorico che fa notizia. Chi vi partecipa, condivide il segreto del Re. Un mistero che a nessuno va svelato perché al di fuori della Mensa non sarebbe compreso, diverrebbe soltanto profanato e manipolato in assurde competizioni: Non enim inimicis tuis hoc mysterium  dicam. Bere al calice di Cristo significa essere rapiti nella sobria ebbrezza dello Spirito che fa cadere le prevenzioni di una cultura ammalata, arroccata sul suo benessere, sulle sue norme difensive di comportamento. Chi non ha la forza di baciare il prossimo povero, disumanizzato e rotolato nella polvere, ogni volta che s’accosta al Calice dà a Gesù il bacio di Giuda. Non tibi dabo osculum sicuti et Iudas. Quanti modi per tradire Gesù, per fare dell’Eucaristia un mysterium iniquitatis: dalla svogliatezza occasionale delle piccole cose sino ai gesti arroganti dei grandi scandali della violenza e dell’ingiustizia con cui ci si sbarazza del povero e delle sue rivendicazioni. Memento mei, Domine, in regno tuo bisbiglia il cuore di chi accoglie con gratitudine i doni di Dio. E insieme avverte che è pur sempre un servo inutile. Tanta più grande è la pace rasserenante e gioiosa che pervade la persona quando, sicut dormiens crapulatus a vino (Ps 77,65), prende coscienza del dono eucaristico e si ritrova meno distante da sé, dai fratelli, da Cristo.

*          *          *

            Uno dei momenti più intensi nella vita eucaristica della Chiesa ha avuto come testimone san Tommaso d’Aquino mentre era docente di teologia all’Università di Parigi. Nell’ambiente vicino a Notre-Dame e alla comunità vittorina, egli aveva avuto modo di ascoltare la teologia pregata nel canto di alcuni canonici. Seguendo la musica della sequenza Laudes Crucis attollamus, il Dottore angelico riveste quella linea melodica con la confessione della propria esperienza e la condivide con tutti noi, ancora oggi, attraverso la sequenza Lauda Sion Salvatorem. Tommaso conosce i propri limiti. È profondamente consapevole che le parole e le lodi umane sono del tutto inadeguate per cantare l’Eucaristia. S’inserisce nella tradizone dei canti liturgici che non propongono trattati esaurienti di teologia, ma esprimono nel balbettio quanto accade nel tempio interiore, da dove si sprigionano scintille incadescenti che illuminano la notte. Quantum potes, tantum aude: quia maior omni laude, nec laudare sufficis. Si sarebbe tentati di desistere. L’Aquinate con coraggio avanza nella giungla delle emozioni sino a superare ogni titubanza: Sit laus plena, sit sonora, sit iucunda, sit decora, mentis iubilatio. Non può essere diversamente quando si percepisce la rivoluzione radicale operata dall’Eucaristia: Vetustatem novitas, umbra fugat veritas, noctem lux eliminat.

            Non è facile accogliere il dono dell’Eucaristia nella consapevolezza lucida di quanto è in gioco. Il pane stesso degli angeli diviene sostentamento dei viandanti che s’inerpicano sui sentieri verso la Gerusalemme celeste. Man mano che si sale, l’orizzonte si allarga e permette di cogliere tempi remoti, forse dimenticati o considerati estranei, mentre di fatto rientrano in un unico disegno di salvezza: il sacrificio d’Isacco, l’Agnello pasquale... Colui che è altare, vittima e sacerdote, è anche agnello e pastore: Bone pastor, panis vere, Iesu, nostri miserere. Tu nos pasce, nos tuere, Tu nos bona fac videre in terra viventium. La tensione escatologica non sopprime la responsabilità dell’impegno sociale. Si costruisce la città di Dio, edificando la città dell’uomo. Tu qui cuncta scis et vales, qui nos pascis hic mortales, tuos ibi commensales, cohaeredes et sodales fac sanctorum civium.